Đorđe Jandrić: Kodikamo hrpa / Far and Away a Heap
testo della curatrice Janka Vukmir di introduzione alla mostra
LA MANO, UNO STRUMENTO PER IL PENSIERO
La mostra Kodikamo hrpa [Il cumulo, codificato], presentata per la prima volta nella galleria dell’Istituto d’Arte Contemporanea di Zagabria, è composta da 30 opere in totale. Per vederle tutte è necessario un lettore di codici QR (ad esempio uno smartphone e una connessione a Internet) necessari anche per visualizzare il contenuto complessivo di questa pubblicazione.
In galleria ci attendono venti disegni a grafite su carta. Sono tutti in bianco e nero e ciascuno ha una dimensione di 51 × 51 cm. Vediamo già a un primo sguardo che si tratta di due gruppi di disegni di evidente diversità.
Il primo gruppo di disegni, una serie di dieci, rappresenta i numeri da 1 a 9 e 0; il secondo gruppo, anch’esso composto da dieci disegni, è costituito da codici QR disegnati a mano. Per quanto riguarda il terzo gruppo di disegni, inizialmente non si sa affatto che esista: non sono presenti nello spazio della galleria e non sono riprodotti in queste pagine. Accedere a questi disegni è possibile solo scansionando i codici. Sono praticamente inesistenti come oggetti fisici, a meno che non immaginiamo come materiale fisico i pixel che li compongono.
La quasi primaria tecnica con cui i lavori esposti sono stati eseguiti – il disegno a grafite su carta – non svela e non è immediatamente associabile a una mostra che include tecnologia digitale e spazio digitale, e persino la dimensione del tempo. L’idea di Jandrić della trasformazione dei disegni e della loro digitalizzazione nasce dalla collisione tra la sfera del lavoro manuale e la sfera dell’incessante digitalizzazione contemporanea di tutti i contenuti, e colloca questi disegni in un campo di interattività tra l’analogico, i riguardanti e il digitale cui raramente afferiscono.
La prima serie di disegni presenta cumuli di numeri naturali e zeri, scritti matematicamente come N0. Il primo disegno che rappresenta lo zero e non appartiene ai numeri naturali – il disegno di un quadrato nero – è un piano uniformemente di grafite, di dimensioni 48 × 48 cm, con un bordo vuoto largo 1,5 cm. L’associazione con Malevich e il Quadrato nero non è casuale, ma piuttosto letterale. Si riferisce all’autoreferenzialità dei processi e delle procedure artistiche ed è una specie di omaggio. È allo stesso tempo un’istruzione all’osservatore del disegno: che questo non è un mondo di oggetti reali, ma piuttosto il contrario, che questo è un rifiuto del peso del mondo oggettivo, una liberazione da esso focalizzando sull’essenza della forma (o è già stato un rifiuto, leggendolo dal nostro tempo). Malevich stesso ha definito il suo Quadrato nero il punto zero della pittura. Quindi, Jandrić lo usa analogamente come punto di partenza, punto zero, di questa serie di opere.
Inoltre, la tecnica della grafite su carta e il processo stesso della ripetitività degli elementi sono associati, naturalmente, a Knifer e alla sua ripetizione della forma del meandro, alla continuità del processo di cambiamento. In linea con le intenzioni di Knifer, che materializza l’assurdità, Jandrić cerca la materializzazione dell’idea, anche se non solo tecnicamente, ma anche concettualmente.
Gli altri nove disegni mostrano cumuli – la cui abbondanza nei disegni segue rispettivamente la sequenza dei numeri naturali – che sono disposti in quadrati geometrici regolari moltiplicati per la logica del quadrato matematico. Quindi, un cumulo è posto in un quadrato, due cumuli in quattro, tre in nove… Fino a nove cumuli posti in ottantuno quadrati.
Il cumulo è spesso presente nell’arte; ognuno ha un suo significato specifico, ma Jandrić non si affida al concetto o alla morfologia dei cumuli a noi noti dalla storia dell’arte.
Tra quelli più vicini a noi, dovremmo notare il cumulo di Kožarić del 1976, esposto alla Biennale di Venezia, che consisteva in un mucchio di vecchie opere di Kožarić e che affrontava un argomento, una problematica e un concetto completamente diversi, proprio come era completamente diverso un altro cumulo di Kožarić, che si può vedere nella sua opera del 1971 Mi sento come la pancia di un leone che ha mangiato troppo. I mucchi di Michelangelo Pistoletto dell’Arte Povera dei primi anni ’60, i mucchi di caramelle di Félix González-Torres o quelli di trucioli di matite temperate di Predrag Pavić mostrano tutti che la morfologia del cumulo non è collegata al significato che porta con sé.
I codici QR sono anche un motivo che, allo stesso modo, appare frequentemente in numerose opere d’arte che hanno significati e natura completamente diversi, sebbene la maggior parte dei codici QR rappresentati nell’arte siano comunque utilizzabili e conducano un osservatore a un nuovo contenuto, che è anche la loro funzione. Ancora una volta, il codice QR in Pistoletto conduce al contenuto che si riferisce alla storia del suo lavoro; in Takashi Murakami, conduce al mondo dell’integrazione tra arte e consumismo; nelle opere di Xu Bing per il Metropolitan Museum, conduce alla calligrafia.
Ma cosa sono esattamente questi cumuli di Jandrić? La sua biografia professionale afferma che ha studiato architettura, abbandonala in favore dello studio della scultura, ma mai una volta nel suo lavoro ha abbandonato i principi di base del pensiero. È interessato a numeri, disegno, geometria, spazio, volume, concetto, analisi e contesto, praticamente le basi per elaborare un progetto. Quando ha introdotto nel suo lavoro l’idea di cumulo, 30 anni fa, questo era in realtà il riflesso dell’atteggiamento secondo cui un cumulo di qualsiasi materiale è una scultura potenziale e che una scultura può essere realizzata in qualsiasi materiale e mezzo poiché, oltre alla tridimensionalità, raggiunge anche un suo volume non semplicemente tramite la materialità della forma ma anche con l’accumulo di contenuto immaginato. Per Jandrić, quasi tutto è un cumulo e ogni cumulo è una scultura. Tutto è una scultura, ha affermato in una conversazione durante i preparativi per la sua mostra all’Institute of Contemporary Art. Questi disegni di cumuli devono essere intesi anche in questo modo: come sculture decostruite, suddivise in sequenze di disegni bidimensionali, piani.
La forma ideale di un cumulo è il cono. È simboleggiato da un triangolo e un cerchio inscritti in un quadrato, che costituiscono un principio quasi euclideo dell’analisi della struttura, dello spazio e dei cambiamenti. Una scultura. Da questo cumulo, dal cerchio e dal triangolo inscritti nel quadrato, Jandrić ha creato il suo segno riconoscibile, l’icona del cumulo o l’avatar della scultura.
Tuttavia, abbiamo comunque davanti a noi piani bidimensionali di disegni, che non cercano nemmeno di formare volume. Sono eseguiti in modo che l’intero piano della carta sia coperto da uno spesso strato di grafite, quindi questo materiale tematizza la superficie del piano, mentre il disegno viene costruito dalle interruzioni in questa superficie scura, linee bianche. Come disegno, assumiamo ciò che non è stato toccato dalla mano dell’autore e non è coperto di grafite, ciò che non è propriamente un disegno in sé, ma piuttosto un pezzo di carta intatto; quindi, possiamo dire che il disegno è stato decostruito nel proprio negativo.
Tutti i disegni sono stati eseguiti a mano libera; le linee sottili, che sono state accuratamente lasciate intatte nei loro spazi bianchi, sono state attentamente delineate; tuttavia, la firma dell’autore incombe comunque. Jandrić non ha mirato all’anonimato tecnico nell’esecuzione e, al contrario, invoca l’importanza del lavoro manuale, i significati del rinomato libro del 1934 Elogio della mano di Henri Focillon. In esso, Focillon interpreta la mano come il fattore chiave dell’espressione creativa e del dare forma al mondo, poiché vede la mano come uno strumento, come un mezzo fondamentale per dare forma al mondo materiale, che in tal modo rappresenta una vera e propria estensione verso il pensiero creativo e l’energia creativa; la mano come mezzo di materializzazione dell’idea, in cui il lavoro della mano e il suo risultato rappresentano anche una traccia lasciata dall’uomo nel tempo. Allo stesso tempo, Focillon non vede un’opera d’arte come un oggetto statico, ma piuttosto come un processo dinamico che cambia, si sviluppa e si adatta come un organismo vivente. La vita delle forme.
Poiché è richiesta una carta adatta per lavorare con la grafite in strati spessi, Jandrić ha scelto una carta ruvida, goffrata, in realtà pensata per gli acquerelli, Canson Montval Torchon 270 g, che tuttavia trattiene al meglio gli strati di grafite che devono riempire la superficie alla massima densità; questa carta deve rimanere stabile nella sua tensione superficiale in modo da rimanere piatta, senza tracce di trattamento sulla superficie che la renderebbero ondulata. La grafite stessa proviene da una matita 9B e da un bastoncino di grafite 9B, ovvero la versione più morbida possibile di grafite. I disegni che ci portano il motivo quadrato dei codici QR dovevano essere misurati solo per la precisione necessaria affinché il codice venisse scansionato correttamente; tuttavia, a parte il marcamento di misura, anch’essi sono stati disegnati a mano libera. Sono stati eseguiti con una grafite un po’ più dura. I crittogrammi stessi sono stati disegnati con una matita HB, mentre le campiture sono state riempite con grafite 5B. I quadratini dei codici QR, più di 300 in ognuno dei dieci disegni, misurano 1,9 cm e dovevano essere misurati in modo da essere proporzionati al formato della carta. Quest’ultimo è stato determinato dalle impostazioni di fabbrica; in produzione, non c’è imballaggio in rotoli, ma piuttosto in fogli con dimensioni stabilite, che l’autore può adattare alle sue esigenze solo in una certa misura.
Ogni codice QR corrisponde a uno dei disegni di cumuli. I codici QR ci conducono dal disegno analogico, disegnato a mano, alla sfera digitale e fanno da ponte verso la finale terza serie di disegni, quelli vettoriali, che si aprono a noi dal collegamento a cui ci ha condotto la scansione del codice QR. I disegni digitali vettoriali sono identici, quanto a raster e a disposizione di linee e cumuli, ai disegni di cumuli in bianco e nero; tuttavia, le loro dimensioni dipendono dal dispositivo su cui vengono visualizzati, anche se le proporzioni ci dicono che la versione digitale del disegno è idealmente uguale a quella disegnata a mano. La differenza visibile fondamentale è che i disegni digitali hanno sfondi colorati di variegate gradazioni. Anche se Jandrić non ha richiesto il colore come mezzo di espressione nelle sue opere, in una conversazione abbiamo concluso che i colori possono essere associati alle superfici dinamiche delineate di Rothko, ma hanno significati diversi, opposti e antisimbolici (1). Nella forma digitale dematerializzata, lo sfondo contrasta le linee bianche; tuttavia, proprio come non ha un significato simbolico, non ne ha nemmeno uno matematico. È uno spettro giocoso selezionato casualmente e opposto al disegno originale.
Il titolo croato della mostra Kodikamo hrpa evidentemente nasce dalla licenza dell’autore di giocare con le parole, aggiungendo così significati alle opere. Kodikamo, questa anomalia della parola kudikamo [molto più/meno], è acusticamente associata a kod/kodove [codice/codici], soglia evidente tra l’analogico e il digitale. Tuttavia, kudikamo (2) è una parola usata con aggettivi per potenziare la loro forma comparativa, ad esempio, molto meglio o molto più bello, che significa davvero, abbastanza, certamente, sostanzialmente, molto… meglio o più bello. Collocata accanto al sostantivo hrpa [cumulo, mucchio], è anche associata al movimento spaziale che conduce il visitatore della mostra ovunque, che è esattamente ciò che accade al confine tra ciò che vediamo in galleria osservando l’analogico e ciò che vediamo quando entriamo nello spazio digitale osservando una serie di opere che non sono affatto visibili in mostra e in questa pubblicazione.
Il punto di partenza del mio lavoro è la mia consapevolezza del fatto che la scultura è tutto, quindi, il cumulo è tutto, e quindi è anche possibile che un cumulo, un sostantivo, sia anche un aggettivo – di nuovo, naturalmente, con il mio gioco di parole e la mia licenza autoriale (3).
Nelle odierne tendenze dell’arte contemporanea, dominate da un attivismo sociale diretto e letterale – e Jandrić aveva anche presentato una volta su questo argomento un paio di lavori nel suo corpus di opere, che includevano anche le icone del cumulo – questa serie di opere, basate sul lavoro manuale, ad una vista superficiale sembreranno all’osservatore anacronistiche, proprio come il mio tentativo di descrivere tecnicamente la mostra e ciò che la caratterizza. La mia argomentazione per questa operazione dell’artista è che l’esposizione in effetti mostri la differenza del lavoro manuale e la lenta procedura di produzione manuale, essendo state necessarie circa 800 ore di lavoro, senza contare le pause, per l’esecuzione di tutte le 30 opere.
Questa mostra, tuttavia, procede da un punto di partenza diverso poiché non è attivista per natura, ma con la sua dedizione al mezzo tradizionale e convenzionale del disegno offre un commento sociale – sebbene non di resistenza – in modo discreto, personale e razionale, che nella somma delle sue caratteristiche include anche gioco poetico, speculazione, sospetto, dilemma, ma anche una critica silenziosa dei tempi contemporanei, mentre commenta e adotta le configurazioni di quest’ultima.
Questa mostra rende interattivo e virtuale il medium artistico di base – il disegno – e anima tutti i profili e generazioni di pubblico a usare i propri dispositivi in un modo in cui molti di solito non li usano. Se si fosse stati testimoni dell’osservare e spiegare le istruzioni d’uso durante le settimane della mostra, ci si sarebbe stupiti di come i rispettivi gruppi demografici di pubblico reagiscano diversamente dalle aspettative standard e dai pregiudizi generalmente accettati.
Questa è la bellezza di ogni mostra, e anche di questa: mettere gli osservatori ad una prova che non si aspettano, provocare pensiero, offrire disagio e piacere, chiedere di vedere, esigere l’interazione, offrire uno spazio del fisico e del virtuale che, sia esso tangibile o sia immateriale, riguardi semplicemente uno spazio in cui viviamo e lo differenzi dallo spazio pensato.
E tutto questo attraverso un semplice cumulo codificato, ma che per nascere ha richiesto molti mesi di attività contemplativa originata dalla mano, lo strumento per pensare di cui ci siamo dimenticati.
Janka Vukmir
Note:
1. Conversazione tra J. V. e Đ. J. durante i preparativi per la mostra, 2 aprile 2024.
2. https://hjp.znanje.hr/
3. Dalla conversazione tra J. V. e Đ. J. durante i preparativi della mostra, 2 aprile 2024.