emozionarsi per la somma dei singoli
emma ciceri a zagabria (di giuliana carbi *)
Una semplice naturalezza che si perde quasi subito: spesso da bimbi, pensando perché io non sono l’altro, non sono il mondo esterno, sono separato da quello che mi circonda e che mi sembra tutt’uno con me, la prima grande delusione è di accorgersi della propria separazione da “tutto il resto” che i sensi percepiscono. Tuttavia, raggiunta la cosiddetta maturità, qualche lacerto di questo senso di comunione vitale si coglie ancora a tratti intermittenti. Ad esempio quando cammini tra la folla della strada e provi ad immaginare i singoli travagli, gioie e peripezie nel viaggio della vita che ognuno dei passanti deve condurre e, per quanto tu non possa propriamente immedesimartici non conoscendo alcun elemento saliente di collegamento preciso con il fluire affatto individuale di quelle vite, te ne commuovi incredibilmente…
Credo che il tentativo di sviluppare e di estendere la propria appercezione – e, avendone l’opportunità, di mostrare agli altri come è fondamentale la propria consapevolezza delle emozioni provate per capire le emozioni e le esperienze dell’altro – sia il motore principale della raffinata operazione artistica che Emma Ciceri declina in una sua personalissima maniera. Credo anche che questo faccia così bene grazie all’insegnamento di un maestro come Adrian Paci, ascoltatore e amplificatore eccellente anche delle vibrazioni più minime (spesso dolorose, purtroppo, in questo nostro molto confuso mondo attuale) della dignità autentica e insopprimibile che ogni individuo possiede.
Vorrei premettere alla mia riflessione sul lavoro di questa artista due affermazioni che fa Emma Ciceri e che mi hanno colpito, tratte da due sue interviste. Forniscono, credo, le indicazioni che ci servono per definire l’osservatorio particolare da cui questa artista guarda e rappresenta il mondo. A proposito dei suoi disegni che isolano delle singole figurine di persone dal loro sfondo contestuale significante, nascosto ed eliminato definitivamente dalla pittura bianca – parleremo con più chiarezza in seguito di queste cancellature che ricorrono e sono il primo tema distintivo del lavoro di questa artista – Emma Ciceri dice che vuole “togliere per sottolineare”. La seconda dichiarazione dell’artista che mi interessa estrarre è che quando la sua videocamera nascosta coglie la naturalezza dei comportamenti degli individui che partecipano ad un raduno – lo studio della folla è il secondo grande ambito di azione caratterizzante che orienta l’originalità della ricerca artistica di Emma Ciceri – dice: “rapisco queste immagini, le colleziono archiviandole” (1).
Nella mostra di Zagabria sono presentate due serie di piccoli disegni e la trilogia di video-animazioni Zone, di cui parliamo più sotto. Il dialogo tra i disegni e i video segue degli accordi e delle analogie che amplificano il senso del cancellare, centrale per questa artista.
I disegni esposti sono tutti dell’ultimo anno: la serie Roghi, che focalizza nello sfondo sbiancato piccole immagini con episodi di incendi e fumi tratti da riviste e giornali, e la serie ancora in processo Senza Titolo. In quest’ultima serie l’idea di fragilità compare con molta evidenza ed è conseguenza dello sviluppo delle indagini precedenti dell’autrice.
Il ritorno alla dimensione intima del disegno di figura dai tratti infantili mette precisamente a tema la fragilità sentimentale. Essa si fa tutt’uno con il supporto di carta e con il segno a matita che traccia contorni di immagini di volti e di animali. La sua rappresentazione si costruisce rispondendo a due opposte spinte: da un lato questi incerti disegni sono spesso offuscati da velature e sembrano voler venire così protetti nella loro privatezza e dall’altro, al contrario, sono spesso portati alla attenzione di un esame indagatore con evidenti cerchiature.
E’ certamente bilanciato e sereno qui il coesistere di queste due spinte contrapposte di allontanamento e avvicinamento dell’osservatore che sono sempre presenti nel lavoro complessivo di questa artista. Potremmo dire che a queste due modalità di lettura ci guida l’artista stessa già con le dichiarazioni che abbiamo premesso.
Dunque, anche alla luce di quanto appena detto, come stanno insieme il togliere/distruggere e l’archiviare/conservare? Il sottrarre l’individuo dal suo più intimo contesto e il ricercare, nel contempo, anche il più minimo motivo che lo porti, invece e comunque, all’identificazione collettiva, anche la più minima?
E, a livello più tecnico di storia dell’arte, come sta insieme nel post-modernismo la tradizione modernista della de-autorializzazione e della transitorietà e precarietà con la tradizione classica della ricerca di punti di attrazione, di associazione e di memoria?
Per tentare di rispondere, vorrei far convergere due direttrici che sembrano non congrue. La prima parte dalla tradizione prettamente laica e lombarda che regala al gotico internazionale le miniature dei Tacuina sanitatis, che non lasciano che pochissimo spazio al testo nel raccontare per immagini i precetti fondamentali per mantenersi in salute e che così facendo dipingono la società del tempo, come è nell’esempio eccellente di Giovannino de’ Grassi. Teniamo fin subito a mente che Emma Ciceri è bergamasca e che questi splendidi manuali illustrati, volendo rendere più semplici le norme da apprendere (in questo caso mediche), erano modelli utili per il comportamento degli uomini di una precisa epoca storica. Oggi, avendo noi perduto l’immediatezza del precetto antico, queste illustrazioni sono, di fatto, una collezione di magnifiche figure in un contesto determinato.
La seconda direttrice si forma nell’ambito in cui avviene la “preparazione” che avrebbe portato Robert Rauschenberg al famoso Erased de Kooning drawing (1953) – un pragmatista Black Mountain College deweyano, agli inizi degli anni Cinquanta super energetico grazie alle anticipazioni minimaliste sia dei White Paintings (1951) di Rauschenberg che di 4'33" (1952) di Jonh Cage, nel quale, ai nostri fini, è interessante notare che ogni suono accidentale in sala (come il respiro del pubblico) o all’esterno (come il vento tra gli alberi) era parte fondamentale dell’opera.
Ai tempi di Rauschenberg la cancellatura del disegno di de Kooning era un’importante operazione minimalista di marcatura, nel senso che “sottrarre” volontariamente un’opera può produrre un’opera nuova.
Straordinaria attinenza al nostro discorso ha inoltre il fatto che esattamente nello stesso anno 1953 Larry Rivers realizza Washington crossing the Delaware. Questa incredibile sfida alla tradizione della pittura moderna viene tentata, come bene sottolinea Marco Livingstone, con l’uso di un “soggetto preesistente”, un tema storico così famoso da risultare banale, ma Rivers lo priva di ogni eroicità, anche pittorica, “concentrandosi sulla fragilità e l’esitazione delle figure”. La nuova visione del pittore americano è nutrita proprio dalla personale “tendenza a cospargere la superficie (delle sue opere) di frammenti episodici visti come memorie materializzate” (2).
Credo che le premesse storiche citate e la necessità per la contemporaneità di discutere la frizione tra la singolarità, generatrice di attrazione, associazione e memoria, e le immagini banali preesistenti (che nel frattempo, per la sovrabbondanza di stimoli visivi, si sono moltiplicate a dismisura) possano trovare una adeguata dialettica nella direzione di ricerca che Emma Ciceri ha intrapreso. L’artista, ad esempio, nella serie dei tre video Zone sceglie a sua volta di obliterare uno sfondo “conosciuto”, o banalmente riconoscibile. Usa cioè, in un modo “al contrario” molto interessante e attuale, sia la pratica del soggetto preesistente di Rivers, che però sopprime, sia la pratica del cancellare di Rauschenberg, che però cancella non un’opera autografa di un grande artista ma un soggetto preesistente banale…
Certo non si può dire che la produzione dell’artista bergamasca derivi da un presidio minimalista oltranzista. Essa però, proprio perché forte della particolare storia “inclusiva” di quello specifico svolgimento del minimalismo (che, ad esempio, permetteva al caso di essere parte essenziale dell’opera), può filtrare con gli arnesi del minimalismo una variabile che non ci si aspetterebbe (e che oggi è invece un’urgenza problematica): quella dell’emozione. Può, in sintesi, tramite il minimalismo definirla esplicitamente e collezionarne le manifestazioni attuali conformi a tale definizione. Emma Ciceri lo fa nei suoi ritagli dallo sfondo di piccole figure, che ci appaiono in forma di “miniature trovate” che materializzano la memoria. Questo suo proprio taccuino medioevale sarebbe piaciuto tanto a Rivers che a Duchamp. Lo fa nel “ridurre” un’immagine banale riconoscibile – come sono un comizio politico comunista (Zone 2011) o un raduno fascista (Zone 2012) – per poi arrivare a Zone 2013, che già prelude allo slittamento, di cui parleremo, che avviene con l’ultimo ciclo Madre di Monumenti.
E’ interessante notare che molti artisti della sua generazione – che già raccontano storie normali e non eroiche, come il tempo richiede – usano come Emma Ciceri la lezione del minimalismo per effettuare un’ulteriore operazione riduzionista anche sull’immagine in movimento, come è il caso di molte recenti opere video italiane.
La folla, scelta da Emma Ciceri come topos nei video presentati a Zagabria, è un sistema che lavora bene in questo senso. Prima di tutto ogni folla è diversa, mutando ognuna l’oggetto della suggestione e dell’identificazione. E’ infatti molto diverso, non solo epocalmente ma anche psicologicamente, trovarsi insieme per accogliere un re o un capo di stato o un idolo mediatico, assistere ad un evento ludico (secondo le diverse modalità che vanno dalla lotta dei gladiatori al concerto rock o alla partita di pallone), assaltare la Bastiglia o sfilare compatti nello sciopero dei lavoratori che rivendicano i diritti sociali del nuovo quarto stato, essere perfino uccisi a piazza Tienanmen o scappare in salvo da un pericolo terribile messoci improvvisamente di fronte dalla natura.
Una seconda caratteristica – importantissima per l’artista sul fronte del “sottolineare” – è che ogni singolo componente di una folla è pari e diverso nello stesso tempo (società di “uguali” e singolarità dell’io). Si potrebbe parlare da molti punti di vista delle particolari modalità di aggregamento degli individui. Qui, brevemente, mi preme almeno rilevare che la folla appartiene all’insieme dei sistemi dinamici; che è noto fin dai tempi di Gustave Le Bon come all’interno di una folla i sentimenti si facciano sia molto semplici sia molto esagerati (3).
Niente male per il neo-minimalismo andare ad indagare delle unità primarie elementari di sentimento. Il fenomeno della stabilità/instabilità delle relazioni interne del sistema-folla interessa molto a Emma Ciceri, al punto che ne può fare una rappresentazione per sottrazione radicale, come in Lode (2009). In questo video, come spiega lei stessa, mentre sugli spalti di uno stadio, appena lasciati dalla folla dei tifosi, un leggero vento muove i giornali e i rifiuti che sono rimasti sulle gradinate, si percepisce “l’assenza, […] l’energia del passaggio, del transito che lascia tracce” (4).
Si tratta di un punto cruciale nel percorso del “sottolineare” dell’artista: assenza, energia, transito, tracce… sono l’abbecedario antico per imparare a leggere la nostra relazione con il tempo.
Dunque proprio al tempo riferirà naturalmente, qualche anno dopo, Madre di Monumenti (5).
Sulla scala graduata di allontanamento/avvicinamento che abbiamo predisposto, lo sviluppo di questo nuovo tema – e poco prima la sua impostazione nel video Zone 2013 che vediamo ora a Zagabria – sembra portare Emma Ciceri a spostare l’indice dalla parte opposta delle potenti immersioni extratemporali alle quali rispondevano, ad esempio, i giovani corpi sollevati e fatti scorrere sulle teste degli astanti, che aveva appena “rapito” dai concerti rock su YouTube per l’opera video Anatomia – Folle, sempre del 2013. Colgo qui l’occasione per sottolineare quanto l’anno che si è appena concluso sia stato molto fecondo per questa giovane artista.
Nell’immaginazione che ci suscita Madre di Monumenti, la grande statua equestre di Vittorio Emanuele II diventa una testimone emblematica (madre) del fluire delle folle che sono state; del ripetersi delle manifestazioni di emozione che gli individui che componevano queste folle si sono trasmessi.
La statua intercetta (e colleziona) il flusso delle ripetizioni delle emozioni e ne archivia i transiti. Ama poter confermare che sono in numero costante. Tuttavia si preferisce assegnarle un ruolo piuttosto differente e più vicino a noi: si vorrebbe che ci convincesse dell’illusione che ogni passaggio è fortemente individuale e irripetibile. Aspirazione quest’ultima di ogni singolo, che tuttavia già una piccola folla dissolve.
Il “soggetto preesistente” prescelto viene trattato dall’artista. Le cancellature lasciano il monumento come l’unica possibile costante della scena. Il grande monumento milanese diventa così una sorta di serbatoio-simbolo dell’energia vibrante delle fragilità mutevoli e ripetute dei sentimenti che sono trascorsi, trascorrono e trascorreranno nell’avvicendarsi delle folle di piazza Duomo. Alla sua saldezza temporale rispetto al fluire umano l’artista affida il compito di sottolineare le zone più precarie della nostra fragilità, che l’epoca globale ha allargato… ma non ha munito di nuovi strumenti di resistenza. Il minimalismo stesso non è tra questi, né può essere una prerogativa di immunità dell’osservatore.
Allora, almeno immaginare, attorno all’addensarsi di una statua del tempo, una nuova scena, al posto di quella cancellata dall’artista, potrebbe voler dire anche togliere il velo a nuove immagini-modelli utili a farci saper essere autenticamente partecipi dei sentimenti degli altri?
Il senso del sogno che sta dietro al “togliere” di Emma Ciceri è un esercizio di sensibilità che resta aperto sulla strada di ognuno di noi, pronto a mutarsi in uno splendido viaggio nel quale emozionarci ogni volta in maniera nuova e più delicata per la straordinaria umanità della somma dei singoli.
NOTE
* scritto in occasione della mostra Zones di Emma Ciceri all’Institute for Contemporary Art di Zagabria, 16 gennaio – 1 febbraio 2014.
1. La prima delle due citazioni dell’artista è estratta da talenthunter, Emma Ciceri, in “Exibart onpaper”, n. 72, 2011, pag. 71, mentre la seconda proviene da: Caterina Molteni, Intervista a Emma Ciceri – ‘Madre Di Monumenti’ CAREOF DOCVA, 29 ottobre 2013, visto il 28 dicembre 2013, http://atpdiary.com/emma-ciceri. Per un approfondimento del tema della folla nel lavoro artistico di Emma Ciceri vedi: Gabi Scardi, Anatomia – Folle, testo critico per l’omonima mostra tenuta da Riccardo Crespi a Milano nel gennaio 2013.
2. Le citazioni sono tratte da Marco Livingstone, Pop Art una storia che continua, Leonardo, Milano 1990, p. 26. Livigstone aggiunge che Larry Rivers sceglie appositamente per questo dipinto un soggetto “carico per di più di esplicite connotazioni americane”.
3. Gustave Le Bon, Psychologie des foules (Psicologia delle folle), Alcan, Paris, 1895.
4. Vedi: Caterina Molteni, op. cit.
5. Il progetto è stato presentato, a cura di Alessandra Pioselli, alla Fabbrica del Vapore di Milano dal 29 ottobre al 27 novembre 2013 e ha preso avvio nel 2011 nell’ambito del workshop Mandato a memoria, tenuto da Rossella Biscotti per l’Accademia di Belle Arti di Bergamo e l’Istituto bergamasco per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea (ISREC).