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21 maggio 2024

conversazione prima

nel trecentenario della nascita di immanuel kant

LIBRARYLINE TRIESTE CONTEMPORANEA
NEL TRECENTENARIO DELLA NASCITA DI IMMANUEL KANT
CONVERSAZIONE PRIMA
BEATRICE BONATO, ALESSANDRO DI GRAZIA, MARCO PACINI
IL DIRITTO DI MENTIRE
MARTEDI 21 MAGGIO 2024 ORE 18
STUDIO TOMMASEO VIA DEL MONTE 2/1

Carle Vernet, ritratto di Immanuel Kant, circa 1792, acquerello su carta, ovale 10,6 x 8,2 cm. (credit: Staatliche Museen zu Berlin, Gemäldegalerie / Christoph Schmidt / CC BY-SA 4.0 )

 

A 300 anni dalla nascita, il pensiero di Kant ha ancora qualcosa da insegnarci? Questa è la scommessa su cui punteranno quest’anno alcuni incontri LIBRARYLINE con il pubblico della Biblioteca di Trieste Contemporanea. All’ordine del giorno degli approfondimenti laterali all’arte visiva tipici di questi incontri saranno, pur nelle impensabili trasformazioni intercorse rispetto ai tempi di Kant, le questioni del rapporto tra Verità e menzogna, tra informazione corretta e fake, la “certezza” accreditata alla simulazione della Realtà (Realtà Virtuale) e le infinite possibilità della manipolazione digitale, o le frontiere estese dei termini definitori di Ragione dispiegate dagli imprevedibili sviluppi della Intelligenza Artificiale.
Una serie di tre conversazioni aperte dedicate a Kant avranno corso entro la metà dell’autunno a Trieste Contemporanea con il compito di mettere a fuoco i temi di attualità del dibattito.

Il ciclo di contributi si apre martedì 21 maggio: alle ore 18 allo Studio Tommaseo di Trieste in via del Monte 2/1. Questa prima conversazione si svilupperà a partire dal testo Il diritto di mentire che raccoglie il dialogo a distanza avvenuto alla fine del ‘700 tra Kant e Constant. Al tavolo di discussione preparato dal filosofo Alessandro Di Grazia parteciperanno, oltre che il curatore dell’incontro, Beatrice Bonato della Società Filosofica Italiana-Sezione FVG, APS e Marco Pacini giornalista e curatore del festival Vicino/lontano.

– La rigida morale di Immanuel Kant (1724 – 1804), che si condensa nell’idea dell’imperativo morale da cui trarre la razionalità dell’agire, sembra male adattarsi al sentire della nostra contemporaneità. Benjamin Constant (1767 – 1830) appare più attuale con la sua idea di comportamento maggiormente attento alle situazioni concrete e volto a stabilire un principio di mediazione dei discorsi, avendo in mente soprattutto il discorso politico – ricordiamo che lo sfondo storico è quello del rivolgimento della Rivoluzione francese. Si profila così una questione, mai pienamente risolta, e forse irrisolvibile, nella pratica, che riguarda la fondazione dei valori che più o meno riteniamo siano la guida delle nostre azioni. Da questo punto di vista la tecnica ci ha introdotti in un panorama del tutto problematico in cui il vero è ciò che serve e non ciò che è giusto. È esattamente il pericolo che paventava Kant nell’ipotesi di abbandonare i principi della razionalità morale. Ciò con cui dobbiamo confrontarci è oggi un orizzonte utilitaristico estremo in cui nessuna fondazione sembra possibile e in cui il senso stesso della parola giustizia sembra aver perso contenuto e vigore. Per arginare questo smarrimento, che tocca ogni aspetto della nostra vita, possiamo recuperare la morale kantiana? La fase post-moderna sembra esaurita e lo sviluppo di diverse forme di sovranismo sembrerebbero configurarsi, tra le altre cose, come una risposta all’arbitrio, presunto o reale non importa, introdotto dal capitalismo tecno scientifico e delle piattaforme. Ma, forse, il prezzo che dobbiamo pagare in termini di ancoramento a una determinata verità può essere più alto di quello che dobbiamo sopportare per tenerci in equilibrio sul precario filo della menzogna. (Alessandro di Grazia) –.

Beatrice Bonato ha insegnato Storia e Filosofia al Liceo “N. Copernico” di Udine. È presidente della Società Filosofica Italiana-Sezione FVG, APS e fa parte del comitato scientifico di Vicino/lontano e della redazione di “aut aut”. Ha curato il fascicolo monografico di “aut aut” La scuola impossibile (il Saggiatore, 2013) e diversi Quaderni di “Edizione”, tra cui Presenza sospesa. Ricerche, esperienze, riflessioni sulla scuola e dintorni, con F. Ferro (Mimesis, 2022) e La filosofia e la crisi ecologica, con R. Kirchmayr (2022). Ha pubblicato il saggio Sospendere la competizione. Un esercizio etico (Mimesis, 2015).
Alessandro Di Grazia si occupa di consulenza e pratiche filosofiche. Coordina uno dei tre Laboratori di pratiche filosofiche all’interno della Scuola di filosofia di Trieste, diretta da Pier Aldo Rovatti. Ha pubblicato un breve saggio introduttivo a L’Iliade o il poema della forza di Simone Weil per Asterios editore (2012). Fa parte della redazione della rivista filosofica di “aut aut”.
Marco Pacini è stato caporedattore de “L’Espresso” fino al 2020, dopo una lunga esperienza giornalistica. Nel 2005 ha ideato il progetto Vicino/lontano, che ha dato vita all’omonimo festival e al Premio Terzani. Ha diretto una collana di saggi per Forum Editrice Universitaria Udinese e ha già pubblicato Epocalisse (2018), Pensare la fine (2022) e Zona critica (2024). Attualmente fa parte della redazione della rivista filosofica “aut aut”.

 

Abstract degli interventi:

Beatrice Bonato
Per una verità non crudele
Il confronto con Constant sul diritto di mentire porta Kant a radicalizzare la sua risposta a un antico dilemma. Cosa dovremmo scegliere tra il dovere della sincerità e la salvezza della vita di qualcuno, a cui abbiamo dato rifugio mentre cercava di sfuggire a un assassino, se proprio quest’ultimo ci chiedesse dove si trova? Com’è noto, Kant si schiera dalla parte della verità, anche a costo della vita. Non della vita propria, in questo caso, ma di quella dell’altro, precisamente dell’ospite. Il rispetto dovuto alla verità è così messo in conflitto con il dovere dell’ospitalità, che viene sacrificato senza il minimo dubbio.
Come è possibile un tale “collasso” dell’etica kantiana? Senza affrettarci a respingerla in blocco a causa di un esito tanto paradossale, possiamo cercare di capire come si è prodotto un tale irrigidimento.
Ma le domande suscitate da questa querelle vanno oltre. Per esempio, è davvero indifferente sapere perché e come si sollecita qualcuno a dire la verità? Quanto gioca la violenza implicita nella scena descritta dall’apologo?

Marco Pacini
L’entropia del vero
Abbiamo ancora bisogno della verità? Una consolidata tradizione filosofica del Novecento, spesso praticata col “martello” nicciano, ci ha insegnato a demolire la sua versione maiuscola come gesto critico originario. Ci siamo iscritti alla scuola del sospetto. Salvo poi accorgerci che lo stesso potere emancipativo di quelle lezioni “contro” la/le Verità può risultare oggi indispensabile per ripristinare una pratica della “verità”, quella minuscola, senza la quale rischia di venir meno la possibilità stessa di un discorso pubblico, e con esso le condizioni per l’esercizio di una democrazia non ridotta a pura ritualità desostanziata. Forse dovremmo aggiornare la Teoria dell’agire comunicativo di Jurgen Habermas in una teoria del “frinire” comunicativo. Come le cicale, all’aumentare del “calore” provocato dal sovraccarico informativo e cognitivo, emettiamo e siamo travolti da un rumore di fondo crescente di cui non distinguiamo provenienza, direzione, alto basso, destra sinistra. E in definitiva vero e falso. Sono le regole di un’“Infocrazia” espressione di un potere ancora più pervasivo e totalitario di quello che noi, “scolari” della scuola del sospetto, volevamo smascherare.

Alessandro Di Grazia
Praticamente vero, praticamente falso
Dalla fine delle grandi narrazioni abbiamo tratto una lezione sulla verità: non ce n’è una che può sbaragliare le altre, che può imporsi sulle altre se non con un atto di forza. La fase post-moderna, ormai alla sua fine, ci ha segnalato che i discorsi, gli enunciati, possono essere veri e falsi allo stesso tempo. Questo sposta il baricentro di ogni possibile riflessione sul vero: non è importante cosa viene detto, ma il luogo da cui viene detto. All’idea di una verità come discorso, dovremmo piuttosto guardare a ciò che è praticamente vero, ma anche a ciò che è praticamente falso; ciò ci conduce a tenere presente che esiste un rapporto ineludibile tra discorso di verità e cura di sé, dove tutta la differenza si trova sul versante di quel “praticamente”.