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di Enrico Tantucci Identità, memoria, scelta, progetto. Sono alcune delle parole-chiave indispensabili per interpretare la nuova Carta del Restauro varata a Cracovia e sottoscritta da rappresentanti di Paesi europei ed extraeuropei. Arriva trentasei anni dopo quella di Venezia, con l’obiettivo di integrarla, più che di cancellarla e tra i suoi demiurghi c’è ancora un veneziano, il professor Giuseppe Cristinelli, ordinario di Restauro Architettonico all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia e vicepresidente del Comitato Cracovia 2000 che ha lanciato l’iniziativa, alcuni anni fa, di un nuovo documento di riferimento per soprintendenze, operatori, storici dell’arte, ma anche e soprattutto per semplici cittadini interessati alla difesa del proprio patrimonio culturale e, dunque, della propria memoria. “In trentasei anni - spiega il professor Cristinelli - il concetto di restauro si è profondamente modificato e se l’estetica e la storia erano i riferimenti principali della Carta di Venezia, al centro ora è il concetto di memoria, la forma a priori comune a ogni uomo che dà valore alle tracce del passato e permette di identificare ciò che un patrimonio culturale rappresenta. La memoria va oltre il rapporto tra estetica e documentazione e implica la scelta: l’operazione che ci permette di distinguere ciò che merita di essere conservato da ciò che invece può essere dimenticato. Non si può conservare tutto indistintamente, perché si finirebbe solo per accatastare, come ricordava opportunamente Massimo Cacciari durante i lavori preparatori della Conferenza di Cracovia. Inoltre il patrimonio può cambiare. Va conservato anche perché ciò che noi oggi non capiamo di esso, potrà essere compreso in futuro da altri. Pensiamo, ad esempio, alla concezione quasi deteriore che si aveva alla metà dell’Ottocento per le architetture di Francesco Borromini e al riconoscimento della sua genialità da parte degli storici di oggi”. Ma fino a dove è lecito spingersi per restaurare o ripulire un monumento? Qual è il limite entro il quale un bene artistico o storico rimane se stesso. “Non ci sono formule - risponde il professor Cristinelli - e non basta il rispetto delle norme. Bisogna avere fiducia nel principio umano di identificazione delle cose. Bisogna scegliere e dalla scelta, dunque, deriva inevitabilmente il concetto di progetto, perché la conservazione non è più una tecnica, è un fine”. Il progetto di conservazione - termine nuovo applicato al restauro - deve dunque precedere le tecniche di intervento, i mezzi per ottenere il risultato desiderato. "L’uso, non l’abuso - insiste Cristinelli - diventa fondamentale, perché è attraverso di esso che un bene artistico o architettonico mantiene parte delle sue funzioni primarie. I concetti di restauro e conservazione non sono dunque antitetici, né alternativi, perché il secondo è al servizio del primo". |
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