Trieste Contemporanea dicembre 2002 n.10/11
 
Considerazioni sul Quinto Concorso di Design
 Trieste Contemporanea
Progettare il vetro soffiato

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di Marco Romanelli

La dicotomia polemicamente insita nell’argomentazione “progettare” il vetro “soffiato” sta alla base di un ragionamento inviso ai più, ma quanto mai attuale: il vetro contemporaneo (e per l’Italia ciò è ancora sinonimo di Murano) deve essere “vetro d’arte” o “vetro di design”? e ancora, può esistere una mediazione tra i due estremi ovvero un progetto che controlli e dia regola, senza sminuirla, ad una una manualità unica? Insomma: trovare una strada che renda esteticamente valido, ma economicamente accettabile ad una fascia più larga di fruitori il vero vetro soffiato muranese che possa così tornare ad essere oggetto sì prezioso, ma maggiormente quotidiano. Una sfida, non certo contraria al “vetro d’arte”, ma sicuramente, ma necessariamente contraria al “vetro souvenir”. Ecco uno degli intenti insiti nel richiedere ai giovani progettisti dell’Europa centrale e dell’Est di confrontarsi progettualmente con il vetro soffiato. Ovviamente il proposito era difficilissimo e il percorso ancora lungo. I progetti valutati dalla giuria portavano spesso in retaggio luoghi comuni difficili da scardinare, il più diffuso un tentativo di artisticità, così come pagavano lo scotto di una non chiara conoscenza delle tecniche di esecuzione del soffiato e delle possibilità, enormi, ma specifiche, di tale lavorazione, tuttavia dalla selezione è emerso un afflato di speranza che può essere importante analizzare.
Se si volesse tipizzare quanto presentato si potrebbero creare quattro categorie di intervento.
Un primo gruppo di opere rilegge la tradizione alta muranese, con evidenti riferimenti ai maestri, e conseguentemente si fa forte dell’enorme capacità tecnica che da sempre li contraddistingue. Vedi innanzi tutto il grande centro tavola, uno dei progetti vincitori, dello sloveno Jurij Dobrila lavorato a pinza sull’eterna forma a spirale oppure il vaso a doppia imboccatura “Sprout” dell’ungherese Gabor Molnar e l’oggetto decorativo a forma di piroga “Black Wind” dell’italiana Patrizia Baldan o ancora l’esile soliflor, apparentemente sospeso, dello jugoslavo Milos Joksimovic.
Un secondo gruppo procede attraverso gli assunti del design proponendo la preziosità del vetro in forme contemporanee. È emblematico a questo proposito uno dei progetti vincitori ovvero, della giovanissima tedesca Annika Giesbert, il poetico secchiello portaghiaccio a sua volta tenuto in equilibrio da un cubetto di ghiaccio. Lo sciogliersi del ghiaccio e quindi il “venir meno della funzione” sarà indicato dal progressivo inclinarsi della ciotola. Uguale afflato poetico nella grande pesciera dei triestini Ruggero de Calò, Maurizio Anselmi e Giulio Stagni: superficie minimale apparentemente inflessa dal peso di ciò che sopra ad essa verrà posato.
Un terzo gruppo di progetti postula un nuovo ventaglio di usi che possa superare l’accezione di decorazione normalmente implicita nel vetro soffiato. Ecco allora la collezione di bottiglie e bicchieri “Le Corbusier Collection” della slovena Katija Lipicnik che trova in un lattimo quasi ceramico e nelle asimmetrie dei colli una sua dimensione metafisica e morandiana oppure il centro tavola (in origine un portasapone) composto di moltissime bolle, spuma solidificata proposta dall’austriaca Claudia Pfleger o ancora la semicupola trafitta da coni estraibili dei triestini Patrizia Magnani e Giovanni Panizon pensata come portaombrelli, probabilmente usabile solo come portafiori, ma certamente lontana dall’“estetica del vaso”. A questa logica appartiene anche la proposta degli ucraini del gruppo NCA (Valentin Rayevsky e Andriy Bakotey) di utilizzare il vetro, in Venezia, come icona grafico-segnaletica, a cavallo tra la dimensione dell’installazione e quella della pubblicità. Un ultimo gruppo, in mostra testimoniato dal lavoro “Smorfie” dell’italiana Marta Ceruti, parla invece del vetro come materia puramente artistica, supporto per l’intervento diretto dell’autore.
Credo non si tratti di scegliere tra i quattro approcci quale sia il più corretto, sebbene ovviamente i giurati avessero singole e precipue ipotesi in proposito, ma di segnalare l’enorme ventaglio di opportunità che il mondo contemporaneo, attraverso la giovane progettazione, può desumere da una realtà, da una tradizione, da un luogo che troppi vogliono considerare legato unicamente al passato.


Marco Romanelli
 
 

 

 
 
 
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