A cura di Trieste Contemporanea > BERAL MADRA I benefici che può portare il networking allo sviluppo della politica culturale dei paesi interessati sarebbero tangibili. Questo tipo di iniziative dovrebbe essere sostenuto finanziariamente a livello europeo. L’idea del sito web “i_CAN” è adeguatissima per scambiare informazioni tra i paesi membri in maniera attiva. L’unico quesito è: in che modo gli artisti parteciperanno continuativamente al network e non solo quando sono direttamente coinvolti in specifiche mostre? Riguardo al “caso” Soros, recentemente la fondazione anche in Turchia ha spostato i suoi obiettivi dal livello culturale a quello sociale e due anni fa ha aperto un progetto sociale rivolto alla popolazione traumatizzata. > LILIA DRAGNEVA A Chisinau la situazione è dura senza il sostegno Soros: sono spariti i finanziamenti, gli spazi e i contatti. Ciò che rimane, ed è prezioso, sono le strutture, i mezzi, i data base, le persone e gli artisti che spesso collaborano a titolo volontario, come succede ad esempio per l’attività “i_CAN”. La speranza è che qualcosa cambi, l’obiettivo è concentrarsi sui programmi educativi per le nuove generazioni e avvicinarle alle proposte dell’unico centro d’arte contemporanea (ex Soros) in Moldavia. > JÚLIA FABÉNYI Credo molto nella cooperazione. Nel 2004 mostreremo una interpretazione artistica di “The Hushed Up Holocaust” e nel 2005 la mostra “Soap Opera” Questi eventi verranno proposti nei nostri grandi spazi espositivi tradizionalmente usati per importanti mostre nazionali e internazionali. In attesa di questo ultimo appuntamento, ancora in fase di preparazione, poter avere proposte sul tema della riflessione critica sulla televisione e sulla vita quotidiana, e artisti selezionati nell’ambito di progetti di cooperazione sarebbe molto stimolante. Un’altra iniziativa attivata dal Mucsarnok consiste nell’invitare curatori stranieri a visionare la scena artistica ungherese e metterli in grado di selezionare nelle mostre che organizzano anche i nostri artisti. Anche in relazione a quest’idea, vorremmo istituire un premio per il miglior curatore dell’anno. Questi progetti ci possono collegare in maniera più stretta ai professionisti dei paesi vicini e allo stesso tempo potrebbero essere utili a far crescere questo tipo di professionalità in Ungheria. La cosa più importante è riuscire a trovare una via per far circolare tra di noi in modo più efficace le informazioni. > INNA REUT Nella capitale bielorussa la prima galleria d’arte contemporanea pubblica, non governativa e indipendente, è stata inaugurata nel 1991. Nel paese ci sono tuttora poche istituzioni statali d’arte e le loro proposte espositive (che provengono dall’estero) sottostanno al controllo della commissione del Ministero della Cultura. Il direttore del Museo Nazionale di Minks si è recentemente dichiarato intenzionato a collaborare con partner europei e statunitensi ma ha anche dichiarato che oggi, dopo la parentesi Soros, i rapporti tra istituzioni e cultura nazionale sono rimasti ancora difficili e le uniche sovvenzioni distribuite sono arrivate dal Ministero. Le relazioni tra le autorità istituzionali e la cultura nazionale sono faticose. La collaborazione internazionale indipendente è difficile e il governo non sostiene l’arte contemporanea indirizzando i suoi finanziamenti solo a istituzioni statali, cioè per l’arte “ufficiale”. Mi sentirei quasi di dire che la maggior parte degli artisti bielorussi - tranne alcune interessanti eccezioni - propende stilisticamente verso la decorazione quasi per fuggire alla realtà contingente. Bisogna anche considerare che i curatori non hanno ancora una provata esperienza, specie in termini gestionali e di ricerca dei finanziamenti. Lo sviluppo delle pratiche curatoriali nel nostro paese dipende dall’aggiornamento internazionale e quindi una formazione sul networking è indispensabile. > KATALIN NÉRAY Molti pensavano che con i cambiamenti politici degli ultimi anni in Ungheria l’arte si trasformasse in funzione della libertà acquisita. Ma in ogni paese gli artisti reagiscono in maniera diversa e personale, anche ai condizionamenti politici. Credo che l’Europa sia ancora divisa in due e sono curiosa di vedere cosa accadrà quando i dieci paesi candidati entreranno nella UE perché in fondo, almeno per l’arte, essere operativi significa contatti personali, amicizie, prospettive in un processo di network e collaborazione. Purtroppo molti artisti ungheresi hanno lasciato il paese per ragioni economiche; adesso vivono e lavorano nell’Europa occidentale o negli Stati Uniti, ma sono felici o frustrati? Quanto al network di “i_CAN”, spero che possa contribuire a far conoscere il valore della cultura dell’Europa centro orientale al di fuori di quest’area. In questo scenario gli artisti della nuova generazione risultano avvantaggiati, maggiormente proiettati verso la mentalità occidentale e statunitense, l’augurio è che non perdano l’autenticità che apparteneva alla generazione precedente. > ANDA ROTTENBERG Penso che l’arte contemporanea dei paesi dell’Europa centro orientale sia tuttora poco conosciuta alla gran parte degli Europei che cercano il nuovo, l’esotico in Asia o Sud America e ignorano le proposte più vicine a loro. Io stessa ho cominciato a viaggiare e a conoscere l’arte dei paesi vicini dopo il 1989. È finita l’epoca delle ideologie e dei miti; un forte senso della realtà è ciò che serve anche nella ricerca e nel reperimento dei finanziamenti per le iniziative artistiche coprodotte. In questo senso, per me, un’esperienza particolarmente significativa è stata la mostra “Europe Europe” organizzata a Cracovia: un grande evento che cercava di riscrivere la storia dell’arte europea. Riguardo a “Continental Breakfast” mi piacerebbe che in quel progetto trovassero spazio tutte le varie molteplici sfaccettature delle realtà europee: le singole città, i paesi, le proposte artistiche. > RYSZARD ZóLTANIECKI A differenza del “periodo Soros”, credo che oggi nel mondo dell’arte contemporanea, se si vuole realizzare un progetto che coinvolga l’Europa occidentale e le istituzioni internazionali e comunitarie come anche i paesi vicini, sia necessario agire come L’Adam Mickiewicz Institute polacco che per procurarsi finanziamenti non si rivolge al governo ma a grandi personalità e sponsor privati. Mi sembra che alcuni paesi centro est europei, che si stanno sviluppando adesso, spesso usino l’arte come mezzo di autopromozione per sostenere il loro valore politico ed economico e i progressi di civilizzazione. Per non snaturare il significato autentico dell’arte, bisognerebbe cercare di non utilizzarla come strumento per raggiungere altri obiettivi: ritengo, dunque, che la cooperazione internazionale, la presentazione e la promozione di eventi non dovrebbero essere condotte da istituzioni o organizzazioni statali. Nell’ideare una mostra bisognerebbe piuttosto tenere presente il contesto sociale in cui si opera. > SIRJE HELME Bisogna rivendicare l’autonomia dell’arte e la libertà dei curatori. Il lavoro dei curatori è quello di proporre: devono essere lasciati liberi di farlo senza dover tener conto della reazione che potrebbe avere l’opinione pubblica, anche se si dovesse trattare di eventuali scandali sollevati da giuste provocazioni. > COLLEN OVENDEN Sono una studiosa del problema delle identità e mi interessa particolarmente come verrà svolto il progetto “Continental Breakfast”: le identità non sono rigidamente definibili e mi pare di capire che l’idea qui sia quella, ugualmente impervia, di definirne gli ingredienti... Riguardo l’intervento dei governi nel campo dell’arte contemporanea credo che non si possa davvero pensare alle proposte artistiche senza la presenza attiva delle istituzioni che contengono nella loro struttura anche la cultura e l’arte. In questo senso un esempio è proprio la Biennale di Venezia dove le opere esposte rappresentano i diversi paesi e sono spesso espressione dei relativi governi. |
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