Trieste Contemporanea novembre 2000 n.6/7
 
Lavorare sul "Gabbiano"
Quando Cechov rinasce dall'attore

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di Valentina Valentini

L’ensemble che ha messo in scena Il Gabbiano (di Anton cechov) non è quello della compagnia "Meno Fortas", ma giovani attori, in maggioranza italiani e francesi, con i quali per due mesi Nekrosius ha lavorato in un luogo appartato, al palazzo Pico di Fagagna (Udine), in campagna come a lui piace. Si tratta di una dimostrazione di lavoro, la presentazione pubblica di un worhshop, non di uno spettacolo per il quale Nekrosius impiega, come durata del processo di produzione, fra ideazione e realizzazione, almeno un anno intero. Di questa dimostrazione vorremmo approfittare perché mette in evidenza dei tratti che appartengono all’universo artistico del teatro di Nekrosius. È come se, attraverso Il Gabbiano, vedessimo più chiaro nella sua officina, in quanto il lavoro cosiddetto non finito parla di più rispetto al lavoro finito. Gli spettacoli di Nekrosius hanno la capacità di penetrare nel testo letterario (sia esso Shakespeare o cechov) meglio che non la lettura diretta, come se, proferito dagli attori in scena, esso si rivelasse nella sua essenza, nella sua natura autentica. Questa osservazione non ha un suo oggettivo riscontro, ma, il fatto che i suoi spettacoli non pongano in prima istanza il problema dell’interpretazione del testo, è un dato degno di rilievo, data la profonda frattura e il naturale conflitto fra testo e scena, fra letteratura e teatro, data "la testarda ostilità del palcoscenico" a rendere visibili atmosfere, sogni e passioni, date le storiche battaglie del teatro moderno contro il testo e per la scena. A noi sembra che l’organicità fra parola e azione, fra personaggio e attore che si riscontra negli spettacoli di Nekrosius, scaturisca da un processo di lavoro in cui il testo non è interpretato autonomamente dal regista secondo chiavi di lettura ideologiche, storiche o filosofiche (secondo la prassi della regia critica in Italia, ad esempio), ma passa attraverso il lavoro degli attori e con gli attori, attraverso una ricerca che si svolge su più livelli: fisico, psicologico, spirituale, guidata dal regista ma non approntata già confezionata, di cui all’attore resta l’esecuzione. E il testo viene recepito né come antico né come attuale, capace di parlare al presente, senza che la qualità di "senza luogo e senza tempo" renda i fatti e i messaggi privi di urgenza. Questa capacità di Nekrosius di saper raccontare una storia attraverso l’attore e lo spazio scenico, per cui il testo passa senza sovraccarichi attualizzanti, senza forzature acustico-fonetiche, produce una sorta di ambivalente attrazione nello spettatore che si trova coinvolto, suo malgrado con piacere, in un racconto scenico che assorbe l’attenzione con un plot da telenovela, un ritmo da vaudeville, le gag di un film comico e una patetica.
La scena allestita da Nekrosius per questo spettacolo è semplice: anziché i tre livelli previsti dal piano di regia della messa in scena di Stanislavskij del 1898 che articolava l’azione "sul proscenio e sul retroscena, nella profondità del quadro scenico e sui suoi piani anteriori oppure intermedi", allestisce una piattaforma praticata dagli attori e dagli attori-spettatori, occupata con le girandole che stanno al posto dei girasoli, i secchi di zinco con e senza acqua che stanno al posto del lago, oggetti d’uso quotidiano in Lituania, il ramo d’albero che sovrasta la piattaforma, la luna resa con una padella di ferro ("e questa povera luna accende invano la propria lanterna"), le sedie che si scagliano, i tavoli che nascondono e svelano. Non è il tavolato nudo che permette agli attori ampia libertà di azione e non è neanche "il mondo in cui si vive", "la scena abitabile" della messainscena del 1898, che racconta e parla della vita delle persone che abitano il giardino e la casa, lontana sia dalla "neutralità di un giardino teatrale di servizio" che dalla spettacolare espressività romantica del bello sfondo. Lo spazio scenico de Il Gabbiano è astratto e concreto, funzionale alle azioni degli attori, con radi oggetti con i quali gli attori compiono le loro performance: sfasciano le sedie, si siedono, versano l’acqua dal secchio, si nascondono sotto la tovaglia bianca che copre la tavola del terzo atto (la sala da pranzo di casa Sòrin).
Come negli spettacoli precedenti cechoviani di Nekrosius, Zio Vanja e Le tre sorelle, l’operazione è quella di tradurre il testo in azione teatrale, evitando il sentimentalismo psicologico del sottotesto e il crepuscolarismo delle esistenze sprecate e degli amori non ripagati, tipico del modo in cui la drammaturgia di cechov è stata recepita per molto tempo in Russia. Nella partitura registica approntata da Stanislavskij per il Teatro d’Arte di Mosca del 1898 nel primo atto, durante la rappresentazione dell’opera di Trepliòv, i personaggi sono seduti su una lunga panca lungo il proscenio, tutti di spalle alla platea, disposizione che attua il principio della quarta parete, giustificata, per Il Gabbiano, dal testo stesso che prevedeva una scena "di teatro nel teatro". La scena de Il Gabbiano dell’Ecole des Maîtres è concepita come un doppio, su due livelli e gli attori-spettatori si siedono di fronte alla platea, guardando frontalmente il pubblico e creando così due ordini di spettatori, quelli veri del teatro e quelli interpretati dagli attori, con il sospetto che per rafforzare l’effetto, Nekrosius avesse, nel primo atto dislocato e confuso qualche attore in platea, a enfatizzare le reazioni dello spettatore modello agli effetti comici... Infatti gli spettatori ridono, il pubblico vero si confonde con il pubblico che guarda la scena di Nina e Trepliòv - un gruppo di guitti - e anche gli attori si divertono. Nello spettacolo il motivo metateatrale che percorre il testo di cechov, declinato sia da una prospettiva storica che autobiografica (le considerazioni ironiche di uno scrittore che sentiva il mestiere e la vocazione come una passione-condanna che lo estraniava dalla vita in quanto lo portava a trasformare sentimenti, eventi, emozioni, ogni cosa in materia scritturale), non perde nello spettacolo né di attualità né tantomeno di storicità. L’ironia di cechov nei confronti dei movimenti d’avanguardia (che ricorda Questa sera si recita a soggetto di Pirandello), l’accusa di fare un’arte decadente lanciata dalla vecchia guardia - l’attrice affermata - nei confronti dell’avanguardia - lo scrittore giovane -, dagli adulti (la madre) nei confronti dei giovani (il figlio), riporta il motivo del conflitto naturale e inevitabile fra tradizione e innovazione in una dimensione sia emotiva e interpersonale che universale.
Coloro che sviluppano questo motivo sono i due personaggi antagonisti, Trepliòv, il giovane aspirante scrittore e Trigòrin, lo scrittore di successo, portatori di una conflittualità doppia, dal versante artistico e da quello affettivo (in quanto amante della madre). In Nina, Mascia Arkàdina, nei personaggi femminili la dimensione tragica è contemperata con altri sentimenti ed espressioni: esse sono capaci di ridere anche mentre piangono, di saltellare con innocente vezzo infantile nei momenti di pena, di essere radiose e tenere mentre sono lacerate. Nello spettacolo, i personaggi maschili incarnano la dimensione tragica del dramma di cechov: personaggi infelici, inappagati ai quali è preclusa l’azione eroica, per i quali la morte è dichiarazione di impotenza, perdita di assoluto, non tanto gesto di sfida titanico contro le ingiustizie del mondo. Ed è qui che si installa l’aspetto comico, la presa di distanza nei confronti del sentimento, il ridicolizzare le meschinerie del quotidiano: il melodrammatico che scaturisce dal dissidio emotivo, dai conflitti fra madre e figlio, fra amanti (Arkàdina e Trigòrin), fra chi ama e chi non è riamato (Mascia, Nina, Trepliòv), ne Il Gabbiano dell’Ecole des Maîtres tocca i due toni del dolore tragico e del comico, esageratamente clownesco nella performance di alcuni personaggi maschili.
Questo ci fa considerare come per Nekrosius i drammi di cechov assumano un tono tragicomico piuttosto che elegiaco, non "la melodia di una vita spenta e mediocre", quanto "la cacofonoia del crollo di un’intera epoca culturale e storica".
 
 

 

 
 
 
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