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di Daniela M. Kromer Conclusi gli studi di pedagogia, pubblicò a 23 anni il suo primo libro, Gedanken un motivn lider in proze (Pensieri e motivi - Poesie in prosa), una raccolta di brevi testi di argomento filosofico e speculativo, sotto lo pseudonimo Der Nister (Colui che è nascosto), che conservò per tutta la sua carriera letteraria e che finì per divenire quasi una seconda identità. Questo bizarro pseudonimo, dalla netta collocazione mistica, rimanda alla leggenda chassidica dei trentasei giusti, che nascosti al mondo e a se stessi sono giustificazione e base dell’esistenza del mondo stesso. Dal 1907 al 1920 Nister pubblicò una serie di opere che toccano vari registri di una sperimentazione vasta e complessa, sviluppando negli anni 1914-1928 una vena idiosincratica, quella del racconto simbolista che portò ad un livello di grande complessità.circa trenta anni. Gli anni Venti segnarono l’apice della produzione letteraria e della maturità dell’autore. Espatriato nel 1920 come gran parte dell’intellighenzia ebraica e russa, Nister si trasferì a Berlino dove pubblicò i suoi racconti simbolisti in una edizione in due volumi apparsi rispettivamente nel 1922 e nel 1923 con il titolo Gedakht (Meditazione). Questa raccolta fu pubblicata di nuovo in Unione Sovietica nel 1929, a tre anni di distanza dal rientro definitivo dell’autore, in una versione di poco diversa da quella originale. Un terzo volume di racconti simbolisti, previsto da Nister già nell’edizione berlinese apparve a Kiev nel 1929 con il titolo Fun mayne giter (Dei miei possedimenti). Le due raccolte costituiscono la vetta più alta ed anche il compendio della sua produzione simbolista. Nister elaborò una complessa rete di metafore che rimandano, come in un infinito labirinto di specchi, ai temi ricorrenti del misticismo chassidico, in particolar modo alle narrazioni simboliche del rabbi chassidico Nachman di Bratslav, alle figure del romanticismo tedesco di E.T.A. Hoffman, alle fiabe, ai versi, alle cantilene dell’infanzia. Il ritmo ipnotico delle lunghe frasi, lo stile spesso inusuale per le continue inversioni di soggetto e verbo - non comuni nello yiddish corrente - e la sua predilezione per la congiunzione “un” (e), che usa ripetutamente quasi il testo letterario fosse un percorso liturgico, donano ai suoi racconti un tocco arcaico, al contempo suggestivo ed enigmatico. Esperienze personali ed interessi letterari si intrecciano nelle figure di eterni viandanti, anonimi eroi di storie giocate in spazi kafkiani. Il dibattito tutto interiore di questi instancabili esploratori dell’esistenza diventa da ultimo la cifra disperata della schiacciante, crescente pressione del regime sulla libertà individuale ed artistica degli intellettuali ebrei. Nister stesso, vittima della censura sovietica venne attaccato violentemente nel 1929 in seguito alla pubblicazione sul quotidiano Di royte velt (Il mondo rosso) del suo ultimo racconto simbolista Unter a ployt (Sotto lo steccato). La campagna diffamatoria portata avanti da Moyshe Litvakov, allora presidente dell’unione degli scrittori di lingua yiddish e custode dell’“ortodossia” sovietica in campo letterario, assunse toni fortemente aggressivi. Come in molti altri casi, da ricordare il precedente attacco a Dovid Bergelson e a Leib Kvitko, questa sorta di processi sommari nell’enclave letteraria di lingua yiddish, era il prodotto di una situazione di elevata disgregazione interna, aggravata da meccanismi autocensori e da una forte pressione esterna esercitata dagli organi di controllo del partito. Nister fu costretto ad abbandonare il simbolismo da cui erano nate le opere degli anni migliori. Il trapasso ad uno stile diverso che permettesse ancora di scrivere fu un processo difficile, un compito ingrato. In una sua lettera degli anni Trenta a suo fratello Motl, a Parigi, Nister scrisse: ” Per uno come me che ha lavorato tanto a perfezionare il proprio modo di scrivere, passare dal simbolismo al realismo è molto difficile. Non è una questione di tecnica, si tratta, come dire, di nascere di nuovo, di rivoltare la propria anima come un calzino.” Gli anni trenta furono anni di sopravvivenza all’ombra di un potere sempre più maldisposto nei confronti dei cittadini ebrei. Nister scrive resoconti di viaggio e traduce in yiddish opere di Boris Pilniak, Lew Tolstoi, Victor Hugo, A. Razumovski, Jack London e A. S. Turgheniev. Una delle vene costanti della sua produzione letteraria, le storie in versi (mayzelekh) per bambini, che aveva iniziato a scrivere già nel 1915-16, tornano ad essere un mezzo di sussistenza. Nister pubblica quattro raccolte negli anni trenta. Dello stesso periodo è la stesura del romanzo Di mishpokhe Mashber (La famiglia Mashber). Di questa saga familiare, un affresco della Berditschev ebraica ottocentesca, apparve a Mosca quasi per caso, un volume nel 1939. Nister, secondo quanto riportano testimoni del tempo, ricevette la proposta di pubblicare il suo romanzo, dopo anni di interdizione, per aver aiutato un burocrate sovietico in difficoltà sulla strada di Kharkov. La famiglia Mashber, il cui secondo volume fece seguito a due anni di distanza dal primo, fu acclamato unanimemente dalla critica del tempo. Il successo di quella grande epopea realista fu in realtà di breve durata. La limitata tiratura dei due volumi fu esaurita in fretta e l’allargarsi del secondo conflitto mondiale ne rese impossibile una seconda tiratura. Il romanzo non venne più ristampato in Unione Sovietica. Il terzo volume del romanzo, a cui Nister fa riferimento in una delle sue lettere, non fu mai trovato. Durante la seconda guerra mondiale Nister fu membro attivo del Comitato antifascista ebraico, il suo impegno personale di scrittore si manifestò inoltre nella stesura di racconti scritti tra il 1940 e il 1945 apparsi per la prima volta a Mosca nel 1943 in una raccolta dal titolo Khurbones (distruzione, olocausto) [in it. Prologo di uno sterminio. Racconti yiddish dalla Polonia occupata, Marsilio, Venezia 2000.] Questi racconti che l’autore stesso definisce Faln (Casi), facendo uso di una terminologia asettica e neutrale, sono pittosto cronache di “accadimenti reali”, vicende occorse a persone a lui note nei primi anni dell’occupazione nazista della Polonia. I personaggi sono solo lievemente protetti da nomi diversi. A questo proposito scrive Nachman Mayzel, amico, mentore ed editore nella prefazione al volume postumo Dertseylungen un eseyen (Racconti e saggi, New York 1957) che raccoglie i racconti degli anni di guerra di Nister: "(...) Der Nister non inventò i personaggi nei “casi” drammatici e tragici da lui descritti. Usò semplicemente esempi tratti dalla cerchia delle sue conoscenze e li descrisse in quelle terribili situazioni. Quando i racconti arrivarono al nostro giornale, scrissi una lettera a Der Nister e gli dissi che in quei personaggi descritti nelle storie, in quei personaggi entrati nell’inferno di Hitler, avevo riconosciuto amici e conoscenze comuni (avevo riconosciuto anche mio padre e mia sorella nel racconto Meyer Landschaft). Lui mi rispose “Sì è così, hai ragione" Nister non intese scrivere dei testi letterari ma piuttosto intese testimoniare. La sua narrazione è qui una forma di impegno etico così come lo aveva formulato molti anni prima in un breve passaggio di un racconto simbolista in cui si riferiva alla narrazione come a un “parlare per chi non può parlare”. Questa funzione ultima della scrittura, alla quale si riferisce esplicitamente anche nella lettera aperta a Dovid Bergelson, è l’ultima possibile e accettabile funzione della letteratura in un mondo in cui l’umanità sembra aver perso anche se stessa. Daniela M. Kromer |
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