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di Alessandra Knowles L’architetto W. Desimpeleare è il presidente del Groep Planning, fondato nel 1966, uno dei primi e dei più riusciti gruppi interdisciplinari di architettura urbana del Belgio. Dal 1971 si è occupato, insieme al suo gruppo, dello sviluppo urbano di Bruges, e ha inoltre lavorato a lungo a Bruxelles, Tallinn e Budapest. Nel corso degli ultimi anni ha lavorato per il Consiglio d’Europa come responsabile del progetto per la riabilitazione e il restauro delle città della ex-Yugoslavia e dal settembre del 1999 si è occupato di un progetto bilaterale di pianificazione per lo sviluppo urbano della città di Cracovia, in collaborazione con il Centro Culturale Internazionale e il Comune di Cracovia. Con lui abbiamo affrontato il tema della gestione e dello sviluppo delle città storiche. Nella sua presentazione lei ha attribuito notevole importanza alla nozione di memoria, perché? Quando al Groep Planning fu commissionata, nel 1971, la realizzazione di un progetto urbanistico per Bruges, la cosiddetta Venezia del Nord, fu una sorpresa per me, allora giovane architetto, scoprire le potenzialità di questa città storica di continuare a vivere in una maniera moderna eppure universale. Credo che in questa seconda metà del XX secolo la società stia cercando di portare avanti un “memoricidio”, e che noi ci stiamo muovendo in direzione di una società a-tradizionale, dove la parola tradizione deve qui intendersi in senso etimologico di "tradere" o di "trans-dare", consegnare o tramandare. La tradizione così intesa non è quindi una parola “conservativa”, non implica soltanto la conservazione, ma anche l’integrazione e la proiezione. Per cui quando parlo della memoria come di un fattore che vincola la nostra identità sia a livello personale sia a livello collettivo, sto cercando di dire che noi dobbiamo conoscere ciò che abbiamo ricevuto dai nostri antenati, e dobbiamo capire perché e come hanno realizzato determinate cose, in modo da dargli una nuova continuità attraverso il cambiamento. Non si tratta di congelare o cristallizzare le cose, ma di reinterpretarle e di ri-modellarle al fine di poterle trasmettere alle generazioni future. Quello del turismo culturale di massa è stato uno dei temi più importanti trattati durante la conferenza, particolarmente in relazione alle città storiche e al bisogno di un’attenta gestione dei suoi rischi potenziali. Qual è la sua posizione al riguardo? Si tratta ancora una volta di un problema di memoria fondamentale e nello stesso tempo di educazione. Il turismo culturale dovrebbe avere a che fare con il ritrovarsi in altre culture: la teoria del “reconoisser en autrui”. Tuttavia in molto dei luoghi che ho visitato, il turismo sembra aver portato a un’omologazione organizzata e a una volgarizzazione dell’identità culturale, provocando cambiamenti repentini del tessuto sociale della città. Ricordo bene com’era Cracovia dieci anni fa e faccio difficoltà a credere che oggi nel suo centro storico ci siano settecentocinquanta bar! Riesce ad immaginare come potrà essere domani? Io non sono un economista, ma in qualità di operatore culturale sono convinto che debbano essere istituite delle barriere mentali e fisiche, e forse anche finanziarie, contro quanti agiscono unicamente in vista di un profitto. Ogni luogo ha una sua propria sostenibilità, può cioè tollerare solo una certa quantità di pressione fisica, a seconda della propria superficie, dei servizi di cui dispone, ecc. A Bruges, per esempio, il turismo è concentrato in una piccola parte della città, quella in cui cioè si trova la cosiddetta “architectura maior”, in questo modo soltanto questo distretto risulterà, per così dire, parzialmente danneggiato. Dobbiamo cercare di limitare il turismo di massa solo a questo circuito, al fine di proteggere gli altri distretti della città, e dobbiamo confinare i parcheggi per gli autoveicoli fuori dalla città in modo che la distanza dall’oggetto del turismo possa creare una barriera mentale e fisica (ci sono ovviamente i servizi per i disabili e per gli anziani). Questo approccio rischia però di non essere particolarmente popolare poiché tende a limitare lo sfruttamento economico del turismo di massa. Quando si parla dell’economia bisogna fare attenzione, perché è troppo spesso usata come alibi. Noi abbiamo condotto uno studio, in collaborazione con un ufficio commerciale, sulle entrate ricavate con il turismo a Bruges. Prendendo in esame alberghi, ristoranti, bar e così via, abbiamo osservato che essi contribuiscono al PIL solo per il 7%. Io sono convinto che la città di domani potrà esistere solo se saremo capaci di trovare un equilibrio tra economia ed ecologia; considerando che il termine economia deriva dal greco oikos nomos, oikos casa e nomos gestione della casa. Pertanto ritornando al significato fondamentale di oikos nomos, inteso quindi non come fine ultimo ma bensì come modo di essere, noi dobbiamo tentare di ribilanciare questo punto veramente fondamentale, creando una società che sia in equilibrio fisico e mentale. Le città devono essere pensate nel lungo periodo come luoghi in cui vivere, caratterizzate quindi da un ambiente sostenibile. Alla luce delle sue esperienze passate come ritiene che il suo coinvolgimento nello sviluppo della città di Cracovia possa unirsi a questa idea, e perché Cracovia rappresenterebbe un valido esperimento in questo senso? È una domanda particolarmente complessa, Innanzitutto Cracovia, come molte altre città storiche, inclusa Bruges, vive questo strano paradosso per cui continua a esistere in quanto città storica grazie alla povertà. Brussels, per esempio, fu demolita nel corso di due generazioni e ricostruita in nome del progresso e del commercio in accordo con i terribili criteri razionalistici e funzionalistici americani di separazione degli spazi abitabili da quelli di lavoro e da quelli ricreativi. Nell’Europa centro orientale c’è un incredibile potenziale per il futuro grazie all’abilità universale di questa città di continuare a dare una risposta ai bisogni fondamentali dell’uomo di oggi e, nello stesso tempo di offrire la possibilità di trasmettere una città tradizionale alle generazioni future. A Cracovia, i primi dieci anni successivi alla cosiddetta “apertura” furono piuttosto lenti. Ora però il tasso di sviluppo della città sta seguendo una curva esponenziale. Nuove fondamentali contingenze di vita, come la mobilità dei canali, sono sorte e stanno cambiando completamente il paesaggio urbano. È perciò necessario essere particolarmente attenti, e questo non è possibile senza che politici coraggiosi implementino politiche di sviluppo sostenibile contro gli interessi di persone orientate in senso meramente economico. Ciò che stiamo cercando di fare qui a Cracovia è prevedere, attraverso un’analisi multidisciplinare delle informazioni strutturali, sociali, economiche e politiche raccolte dalle testimonianze di esperti locali, nuovi posti da sviluppare per il futuro senza distruggere il magnifico habitat esistente, che continuerà ad essere il cuore della città, offrendo non solo servizi turistici ma anche o soprattutto servizi agli abitanti. Al momento stiamo esplorando la possibilità di rivitalizzare il lungo fiume della Vistola con lo scopo di integrare la valle della Vistola nel fabbricato urbano. Una seconda potenzialità è offerta dall’area della stazione ferroviaria e dal Kazimierz, il vecchio distretto ebraico, per quanto non sia particolarmente ottimista circa il futuro del Kazimierz, perché si sta sempre più trasformando in un quartiere residenziale, tanto che prevedo che nei prossimi dieci anni la maggior parte degli abitanti originari se ne saranno tutti andati. Ciò a dimostrare che in quanto professionisti noi possiamo solo operare nei retroscena della politica tentando di fare del nostro meglio per preparare, come decision-makers, strategie sostenibili, che i politici, ovvero i decision-takers finali, dovranno poi adottare. |
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