Trieste Contemporanea novembre 2000 n.6/7
 
Intervista a Jacek Purchla, direttore
 del Centro Culturale Internazionale
Il paradosso della trasformazione

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di Alessandra Knowles

Il Centro Culturale Internazionale (ICC) ha giocato un ruolo molto importante nella nomina di Cracovia a città Europea della Cultura per l’anno 2000, organizzando nel 1992 il Mese Europeo della Cultura. Che cosa l’ha spinta a raccogliere questa sfida?

Io credo profondamente in Cracovia e appartengo a quella generazione che ha sperimentato il cosiddetto “splendido isolamento”. Il paradosso di Cracovia prima del collasso del comunismo stava nel fatto che noi vivevamo in un ambiente europeo splendido ma isolato. La libertà guadagnata nel 1989-1990 ha portato con sé un rapido cambiamento e il compito dell’ICC sta nell’incoraggiare questo mutamento in modo che possa realizzarsi nel rispetto del dialogo internazionale sulla cultura. Ritengo, inoltre, che Cracovia possa giocare un ruolo importante in questo senso, non solo in quanto città storica, ma anche in quanto luogo ricco di un enorme potenziale intellettuale, artistico e creativo, che era stato congelato durante le decadi successive al secondo conflitto mondiale. Cracovia appartiene a quella schiera di città che sono complesse, diversificate e sofisticate e la sfida di creare un ponte tra i monumenti, il tessuto fisico della città e il suo potenziale umano è indubbiamente un fatto degno di nota.

Cracovia sembra avere sempre occupato una posizione speciale, grazie alla sua ricchezza culturale, unita a un certo grado di autonomia durante tutta la sua storia. Perché e in che modo?

È vero. Bisogna innanzitutto sottolineare che Cracovia si è lasciata la sua epoca d’oro alle spalle, e questo può essere un vantaggio. Essa ha raggiunto lo zenit del suo sviluppo nel XVI secolo, dopo di che ha subito un rapido declino e una provincializzazione. È una delle poche grandi metropoli dell’Europa centro orientale che non svolge importanti funzioni politiche e amministrative. Uno potrebbe parlare della città congelata, dell’inquinamento, dei disastri ecologici e di molti altri impatti negativi del socialismo reale, tuttavia Cracovia ha sempre occupato una posizione speciale perché non era la capitale. Sarebbe stato impossibile avere gli stessi margini di libertà a Berlino Est, a Varsavia, a Praga o a Budapest. Cracovia era la città degli artisti, la città degli intellettuali, la città in cui la speciale posizione del Cardinale Karol Woytila, agì da ombrello per molti liberi pensatori. Già negli anni Cinquanta essa produsse espressioni artistiche quali il teatro di Tadeusz Kantor, il gruppo di pittura contemporanea Kraków Group, il cabaret Zielony Balonik (Palloncino Verde), e la musica jazz, che era proibita in epoca stalinista. In seguito, agli inizi degli anni Sessanta, Cracovia fu invasa da numerosi intellettuali e artisti ungheresi che arrivarono a Cracovia per la libertà che essa offriva: ogni cosa è relativa, e dal punto di vista di Budapest, dopo il 1956, Cracovia era una vera e propria isola in cui era possibile discutere dei problemi dell’arte informale, dell’esistenzialismo e di molti altri temi che la propaganda comunista etichettava come borghesi e reazionari.

Ora, dopo gli eventi del 1989 Cracovia si trova a dover fronteggiare l’impatto della liberalizzazione anche in termini di pressioni dell’economia di mercato sulla sviluppo della città. Che cosa propone per trovare un equilibrio tra la crescita economica e la salvaguardia dell’identità culturale?

Questa è la seconda questione all’ordine del giorno dell’ICC: trovare un nuovo approccio al patrimonio. Non è forse un paradosso che durante il comunismo in una situazione economica stagnante e all’interno di un sistema fondato sul controllo permanente di ogni persona e di ogni cosa fosse molto più facile proteggere la città? La povertà può agire da conservatore. Dal 1989 abbiamo subito un rapido cambiamento, e indubbiamente le trasformazioni portano conflitti, come Rynek G¬ówny, la piazza principale della nostra città, può testimoniare: la pubblicità è il primo sintomo del capitalismo, come lo sono gli innumerevoli ristoranti che hanno sostituito l’economia della scarsezza e i negozi vuoti. È una vera rivoluzione e dobbiamo cercare nuovi strumenti. Dovremmo parlare della gestione del cambiamento, la gestione del potenziale, una sorta di sviluppo sostenibile basato sul compromesso quotidiano tra le sfide del futuro e i principi basilari della protezione del patrimonio. Non è solo una questione di equilibrio e anche una questione di consapevolezza umana, che tocca i temi dell’identità, della globalizzazione, il naturale conflitto tra tradizione e modernità, tra valori locali e valori universali, ma tocca anche il problema del denaro, della forma e delle funzioni dei monumenti.

Alla luce degli obiettivi dell’ICC in termini di sviluppo della città e di consolidamento del ruolo internazionale di Cracovia, lei ritiene che Cracovia 2000 Città Europea della Cultura abbia raggiunto ciò che si era proposta di ottenere?

È una questione filosofica poiché si dovrebbe prima definire qual dovrebbe essere lo scopo della Città Europea della Cultura. Per me, in quanto vicesindaco che nel settembre-ottobre del 1990 stava lottando per il Mese Europeo della cultura, quest’anno è stato trattato in una maniera troppo limitata, indirizzandosi più a un pubblico locale che a uno internazionale. Avrei preferito che si fosse seguita l’esperienza di luoghi come Glasgow e Antwerp, dove questo evento è stato usato non solo come un’opportunità per promuovere la città e il cambiamento della sua immagine, ma anche per creare nuove infrastrutture. Da un certo punto di vista io credo che abbiamo perso questa chance, anche se mi auguro che in un futuro non molto lontano Cracovia riuscirà a sviluppare un’immagine di luogo di festival veramente internazionale.
 
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